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Nuova Pelle

 

 

 

Gli ultimi raggi di un cupo tramonto la investirono, facendole strizzare gli occhi infastidita, quando si chiuse alle spalle la porta, sbattendola.
Uno scatto agile e superò il piccolo viale acciottolato che conduceva alla casa dove era cresciuta. Si confuse tra la vegetazione del boschetto di aceri che costeggiava le colline morbide, di un verde brillante in quel periodo dell’anno.
Correva, i muscoli delle gambe tesi, lunghi, indescrivibile forma armoniosa che sembrava modellata dalle mani di un dio che cercasse di compiacersi dando vita a forme perfette. L’erba si piegava sotto il passo felpato e veloce, una corsa sfrenata senza sosta, senza meta, fatta di sudore, ardore, pulsazioni del cuore, spasmi dei nervi, bagliori nelle pupille allungate nelle iridi gialle.
Correva quella creatura, incrocio di donna e leopardo, correva lontano da chi le aveva detto che doveva cercare la sua strada da sola. Con chi l’aveva spinta fuori per sempre, in malomodo, dal nido caldo ed ovattato dove era cresciuta.
Rabbia disegnata sulle labbra contratte, rosse di fiamma e bagnate d’illusione. Stringeva i pugni conficcandosi le sottili e taglienti unghie nella carne, dilaniandola. Attraversava pianure e superava rocce, fiumiciattoli e steppe, prati e ombreggiati boschi. Al suo passaggio anche gli alberi sembravano scansarsi, del suo passaggio rimaneva solo un alito caldo, intriso di profumo selvatico.
Le spalle nude decorate con macchie che ricordano rose nere, sublime apostrofo sulla schiena liscia, valle di muscoli contratti e bramosi di movimento. Il volto fiero, aggressività tagliente su un’espressione di calma apparente. I fianchi, morbido preludio alle cosce lunghe, bianche vibrazioni di pelle avorio, macchiate dal colore di quel leopardo che ora le pulsava nel sangue selvaggio, indomito.

La luna era oramai alta nel cielo e lei avvertiva finalmente la libertà, scaldata dal solo bagliore di quel pallido disco. Avvolta nel manto nero della notte sentiva che le ombre la chiamavano dandole carezze di brividi, era figlia del buio. Il sole era solo un ricordo, la notte, la presenza, la madre che l’ammantava d’istinto. Si lasciò cadere a terra quando anche il suo ultimo muscolo cedette, il respiro tagliente come la lama gialla che le lacerava lo sguardo. Ansimava ed il morbido seno bianco si gonfiava velocemente. Il cuore, un ritmo tribale accelerato come danza inebriante. Calore dal quel corpo nato per correre, scattare, afferrare, travolgere ogni emozione. Si chiedeva dove avrebbe mai trovato un luogo migliore della casa di sua madre. Si chiedeva perché l’amasse tanto invece di odiare chi le aveva donato amore e poi tolto picchiandole il volto ed urlando che era figlia di un ricordo doloroso di schiavitù e tortura. Lei, sua madre, così donna, tanto da farla sempre sentire inadeguata. Sua madre, che le insegnava a nascondere la coda sotto ampie gonne o a scolorire le macchie della sua pelle strofinandola con latte caldo. La madre che l’aveva cullata e calmata quando sentiva il bisogno di piangere perché quel cuore selvaggio la faceva soffiare come un gatto impaurito dinnanzi ad una vita adulta che non voleva iniziare. Ora invece fissava il cielo nero, riversa sulla schiena con i capelli sudati arruffati sul suo volto per un istante impaurito, poi stanco. Si sfilò la gonna oramai lacera, la morbida coda le rivelò la sua presenza, sottile, ora più orgogliosa che mai. Lei era una Felar e non le importava cosa la gente pensasse di lei. Sapeva cacciare, riconosceva i luoghi e le persone sentendone solo l’odore. Era figlia di uno spirito ribelle, di un leopardo forse o di un esperimento che la rendeva puro istinto di rabbia e sopraffazione.

“Ciò che non è mio e mi piace me lo prenderò” si disse sfidando la pallida luna che sembrava deriderla. Si lisciò la pelle graffiata delle mani leccandola, così come farebbe un gatto. Fece cadere ai suoi piedi gli abiti sporchi e strappati, morbidamente mosse le gambe come in una danza di sensi che attendono solo di essere soddisfatti. I fianchi sinuosi verso l’acqua gelida di un fiume bagnato dalla luna che stava diventando rossa. Come in un rituale arcano si lasciò avvolgere voluttuosamente dalle acque. I riflessi dorati dell’astro alto in cielo l’avvolsero di eleganza felina e le scaldarono quell’anima sola, randagia, scaltra ladra di passione.

 

Zana LamaGialla

 

 

 

 

 

 

 

   

 

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