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Quando dopo l’anno 10 le navi da Alwenion cessarono di giungere nel
porto elfico di Rasserim, i sinoriani non sapevano darsi una
spiegazione. Attesero per tante lune, ma invano. Il timore piu’
grande era che gli orchi avessero devastato porti e navi di Alwenion,
mentre c’era chi ipotizzava che gli alweoniani stanchi e poco
combattivi, avessero lasciato la citta’ per tornare su Lossendor,
senza dir nulla ai fratelli sinoriani. Una notte udirono dei lievi rumori intorno all’accampamento e i sinoriani temevano di essere circondati da orchi, che fino ad allora non avevano incontrato. Uscirono dalle tende con le armi in mano e a prima vista non notarono nulla tra gli alberi e la vegetazione. Pochi minuti dopo delle figure longilinee si fecero strada nell’oscurita’: erano elfi ricoperti di foglie, stranamente silenziosi, quelli che si avvicinarono ai sinoriani increduli. Le domande che gli elfi volevano fare ai silvani erano tante ma non ebbero nessuna risposta concreta, solo frasi prive apparentemente di significato, che lasciarono ai sinoriani solo dubbi e incertezze. Gli elfi dei boschi sparirono nelle ombre cosi’ come erano arrivati e inutili furono le ricerche condotte nei giorni seguenti per ritrovarli. Agli elfi di Rasserim non restava che tornare per raccontare a Sinor cio’ che avevno visto e cio’ che non avevano trovato. |
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I
sinoriani si convinsero cosi’ che gli alweoniani erano stati
sterminati, insieme alla loro citta’, dagli orchi e che i pochi
superstiti si fossero imbarcati per Lossendor seguendo la
vigliaccheria invece di ripiegare su Sinor per raccontare, per
riunirsi col loro popolo. Non compresero mai appieno chi fossero,
invece, gli strani elfi dei boschi. Chi era stato in spedizione su
Landmar ben presto si convinse di aver avuto una visione animata
dalla speranza di ritrovare i fratelli alweoniani o voluta dalle Dee
che volevano forse inviare un messaggio al loro popolo. |
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A
Sinor pero’ bisognava continuare a resistere e a vivere. I sinoriani
dovettero cosi’ far affidamento solo sulle proprie forze.
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I
manufatti che Alwenion aveva sempre garantito a Sinor non c’erano
piu’. Gli elfi dovettero arrangiarsi nelle varie arti per costruire
il necessario. L’autosufficienza che non era mai stata richiesta a
Sinor, ora diventava l’unica via di salvezza. Si sa bene pero’ che
arte e organizzazione, frutto di secoli di tradizione, non si
improvvisano in poco tempo, cosi’ come il valore e la forte
struttura militare di Sinor non pote’ sopperire alle mancanze che
ora incombevano. Il degrado pero’ non colpi’ mai Sinor. Non vi era
nulla da rubare a nessuno, nulla da invidiare a nessuno. La
struttura politica, da sempre sotto il controllo della casata dei
Mirhil, continuava a funzionare, l’ordine era mantenuto, anche se
non bastava a colmare quel senso di disperazione che pian piano
prendeva piede.
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Attraverso piu’ di cento anni di isolamento Sinor aveva imparato a sopravvivere plasmando una realta’ economica, politica e sociale degna del suo popolo. Gli orchi sembravano infoltirsi sempre piu’ e circondavano la valle senza sosta, i sinoriani dal loro canto si preparavano alla battaglia. Non potevano certo rimanere cosi’ a lungo, gli eserciti andavano addestrati e giovani leve venivano arruolate. Andavano preparate armi d’assalto non essendo frecce ed arco sufficienti per uno scontro come quello che sembrava oramai inevitabile. Sinor doveva liberarsi dagli orchi, o almeno tentare di allontanarli, e cosi’ fino al 175 gli elfi si prepararono con costanza, con fermezza, per quella che sarebbe dovuta essere la loro liberta’. |
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Il
giorno decisivo colse pero’ i sinoriani alla sprovvista e
l’inevitabile si svolse senza preavviso e non per volere di Sinor.
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La
retroguardia elfica copriva i cittadini che correvano verso il porto.
Gli orchi, che dei cadaveri si cibavano e che distruggevano e
incendiavano ogni cosa che incontrasse la loro avanzata, non
risparmiarono nessuno dei soldati che perdettero la vita per coprire
l’esiguo gruppo che oramai si stava allontanando aiutato dalle acque.
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Ne aveva viste di battaglie lui, il generale che non nascondeva la sua stanchezza impressa sulla pelle segnata e sui lunghi capelli striati di bianco. I suoi occhi azzurri come il mare che lo aveva portato a Sinor non si spegnevano mai, anzi raccontavano: una vita lunga fatta di onore e servizio per il suo popolo, la sua gente, coloro che amava. Corse sulla torre alta, insieme agli ultimi, doveva vedere le sue navi partire per la terra di un tempo per l’ultima volta. Il sogno era finito.
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Il
generale, fiero sui bastioni, vide le navi sparire all’orizzonte. Fu
l’ultima volta che i suoi occhi si posarono sulle acque del mare.
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Il
generale si volto’ e guardo’ i suoi guerrieri negli occhi, non fu
necessario parlare. Un silenzio solenne dominava l’interno della
torre, spezzato dal riecheggiare dei passi cadenzati del piccolo
manipolo. Quando il generale giunse davanti alla porta che lo
separava dai suoi nemici, si fermo’. Il suo respiro fu lungo e
mentre chinava lievemente il capo in avanti, chiudendo gli occhi, i
suoi elfi capirono e rispettarono il silenzio. L’orgoglio ancora una
volta rendeva valorosi quegli animi, e la fuga era l’alternativa che
mai nessuno di loro avrebbe preso in considerazione. Apri’ quella
porta, con lentezza, fece alcuni passi in avanti e guardo’ negli
occhi la mostruosa creatura che del sangue elfico ancora si libava.
Solo fredda determinazione brillava in quegli occhi cinerei che
infinite morti avevano visto. La punta della sua lancia brillo’ alla
luce di quel giorno finale, mentre le rune dell’asta si imprimevano
sulla pelle delle mani segnate da infinite e bianche cicatrici.
“Gweinian” fu la sua ultima parola. Schierati fianco a fianco, i
guerrieri seguivano il loro comandante, con fierezza.
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