Quando dopo l’anno 10 le navi da Alwenion cessarono di giungere nel porto elfico di Rasserim, i sinoriani non sapevano darsi una spiegazione. Attesero per tante lune, ma invano. Il timore piu’ grande era che gli orchi avessero devastato porti e navi di Alwenion, mentre c’era chi ipotizzava che gli alweoniani stanchi e poco combattivi, avessero lasciato la citta’ per tornare su Lossendor, senza dir nulla ai fratelli sinoriani.
Per fugare ogni dubbio intorno all’anno 13 del calendario umano, fu organizzata una spedizione su Landmar. Militari agli ordini di qualche alto graduato dell’esercito, salparono da Crisarnon su una nave diretta verso il porto alweoniano. Giunti nelle loro terre natie gli elfi si addentrarono nella foresta per raggiungere Alwenion. Sconforto e amara sorpresa invase gli animi dei sinoriani che non riuscirono a trovare la citta’, ma solo una sconfinata foresta mai interrotta da nessuna costruzione. Diversi giorni rimasero accampati nella locazione che ricordavano essere quella di Alwenion, ma non incontrarono altri elfi, tranne in uno strano episodio.

Una notte udirono dei lievi rumori intorno all’accampamento e i sinoriani temevano di essere circondati da orchi, che fino ad allora non avevano incontrato. Uscirono dalle tende con le armi in mano e a prima vista non notarono nulla tra gli alberi e la vegetazione. Pochi minuti dopo delle figure longilinee si fecero strada nell’oscurita’: erano elfi ricoperti di foglie, stranamente silenziosi, quelli che si avvicinarono ai sinoriani increduli. Le domande che gli elfi volevano fare ai silvani erano tante ma non ebbero nessuna risposta concreta, solo frasi prive apparentemente di significato, che lasciarono ai sinoriani solo dubbi e incertezze. Gli elfi dei boschi sparirono nelle ombre cosi’ come erano arrivati e inutili furono le ricerche condotte nei giorni seguenti per ritrovarli. Agli elfi di Rasserim non restava che tornare per raccontare a Sinor cio’ che avevno visto e cio’ che non avevano trovato.

 

 

I sinoriani si convinsero cosi’ che gli alweoniani erano stati sterminati, insieme alla loro citta’, dagli orchi e che i pochi superstiti si fossero imbarcati per Lossendor seguendo la vigliaccheria invece di ripiegare su Sinor per raccontare, per riunirsi col loro popolo. Non compresero mai appieno chi fossero, invece, gli strani elfi dei boschi. Chi era stato in spedizione su Landmar ben presto si convinse di aver avuto una visione animata dalla speranza di ritrovare i fratelli alweoniani o voluta dalle Dee che volevano forse inviare un messaggio al loro popolo.

Il divario mentale tra Sinor e Alwenion, gia’ forte negli anni precedenti, si era oramai marcato di odio e risentimento. I Sinoriani si sentivano traditi e additavano gli alweoniani come fratelli idegni di cui per amarezza o per orgoglio era meglio non ricordare piu’. 

 

 

A Sinor pero’ bisognava continuare a resistere e a vivere. I sinoriani dovettero cosi’ far affidamento solo sulle proprie forze.
Oramai quello che contava non erano le armi. Quello che contava era come sopravvivere. Mai come in quegli anni gli elfi di Sinor si erano resi conto dell’importanza di Alwenion. Dopo la sua caduta, nel 10 secondo il calendario umano, la valle di Sinor soffriva la fame, la gente, anche i militari piu’ valorosi, imbracciavano gli strumenti per coltivare quei piccoli lembi di terra protetti dalle alte mura che circondavano la valle. Le armi venivano usate per le battute di caccia che sempre piu’ frequentemente venivano organizzate anche fuori dalla valle. In molti morirono sotto piccoli scontri con bande di orchi e goblin che non perdevano mai occasione per sterminare chiunque incontrassero sulla loro strada e rimanevano ad accerchiare i confini della valle non lasciando respiro ai sinoriani.

 

 

I manufatti che Alwenion aveva sempre garantito a Sinor non c’erano piu’. Gli elfi dovettero arrangiarsi nelle varie arti per costruire il necessario. L’autosufficienza che non era mai stata richiesta a Sinor, ora diventava l’unica via di salvezza. Si sa bene pero’ che arte e organizzazione, frutto di secoli di tradizione, non si improvvisano in poco tempo, cosi’ come il valore e la forte struttura militare di Sinor non pote’ sopperire alle mancanze che ora incombevano. Il degrado pero’ non colpi’ mai Sinor. Non vi era nulla da rubare a nessuno, nulla da invidiare a nessuno. La struttura politica, da sempre sotto il controllo della casata dei Mirhil, continuava a funzionare, l’ordine era mantenuto, anche se non bastava a colmare quel senso di disperazione che pian piano prendeva piede.
A Sinor gli elfi dovettero dar fondo alla loro caparbieta’ per ricostruire un sistema economico di sostentamento e cercare di specializzarsi anche nei manufatti, soprattutto per quel che riguardava le armi e la lavorazione dei metalli. Furono costruite fucine nelle quali soldati oramai impossibilitati a combattere e giovani lavoratori si specializzavano nella forgia che divenne sempre piu’ quasi un’arte. La lancia sinoriana fu riveduta nel bilanciamento, nuove armi furono forgiate seguendo il giusto compromesso tra funzionalita’ e decorazione.

 

 

Attraverso piu’ di cento anni di isolamento Sinor aveva imparato a sopravvivere plasmando una realta’ economica, politica e sociale degna del suo popolo. Gli orchi sembravano infoltirsi sempre piu’ e circondavano la valle senza sosta, i sinoriani dal loro canto si preparavano alla battaglia. Non potevano certo rimanere cosi’ a lungo, gli eserciti andavano addestrati e giovani leve venivano arruolate. Andavano preparate armi d’assalto non essendo frecce ed arco sufficienti per uno scontro come quello che sembrava oramai inevitabile. Sinor doveva liberarsi dagli orchi, o almeno tentare di allontanarli, e cosi’ fino al 175 gli elfi si prepararono con costanza, con fermezza, per quella che sarebbe dovuta essere la loro liberta’.

 

 

 

Il giorno decisivo colse pero’ i sinoriani alla sprovvista e l’inevitabile si svolse senza preavviso e non per volere di Sinor.

Si racconta che quel giorno alcuni stormi di corvi coprirono il cielo di Sinor andando poi a nidificare sugli alberi ai confini della valle. Gruppi di cittadini scortati stavano varcando gli enormi cancelli in Ilbrant per dirigersi verso i monti per i consueti lavori di estrazione dei minerali. “Fermi!” La vedetta che controllava dall’alto della torre principale non riusciva a credere a cio’ che si stava delineando all’orizzonte: una striscia nera divisa in piu’ settori che avanzava tra la polvere e la poca luce. Tutto si fermo’. Calo’ un silenzio innaturale, anche gli animali smisero di respirare e poi un battito, martellante. Tamburi lontani. La terra inizio’ a tremare e il panico prese il sopravvento. L’orda di orchi avanzava e pian piano non si riusci’ a scorgere un lembo di terreno scoperto, intorno alla valle. I nemici che per anni si erano stabiliti attorno alla valle sembravano un esiguo numero in confronto a cio’ che stava per raggiungerli ed unirsi a loro.
I primi carri di cittadini e guardie che avevano gia’ varcato i grandi cancelli di Sinor, e stavano percorrendo lo stretto condotto che conduce fino ai monti, allarmati cercarono di tornare indietro. Fu vano. Da ogni pertugio venivano fuori piccoli esserini, veloci, che portavano morte emettendo striduli suoni. Spie che per lungo tempo avevano studiato le mosse degli elfi e avevano rapportato, complice la loro grande arte nel nascondersi.
Quel che accadde in quella striscia di terra, per opera dei goblin, non e’ narrabile. Le urla, la disperazione, la vita che cessava colorarono di rosso cupo ogni dove. I cancelli vennero chiusi e il sogno di liberta’ li' ebbe fine.
Nel villaggio il generale con fredda razionalita’ stava gia’ organizzando le sue truppe, mentre le urla di guerra degli orchi spezzavano il silenzio del terrore. I cittadini correvano per le strade, le famiglie si riunivano, gli amici si cercavano.
L’assedio duro’ quasi tre giorni. Gli orchi spazzarono via ogni forma vivente nella valle, animali, piante e poi raggiunte le mura esterne che collegavano le torrette, le abbatterono in un solo giorno. Tutti imbracciarono le armi, non vi fu elfo che non difese con onore la sua vita e il suo villaggio. In molti morirono sotto i colpi brutali delle armi rozze delle creature immonde. Il villaggio era in ginocchio gia’ al termine del secondo giorno quando lo scempio, le barbarie e l’odio oramai facevano da padrone. Il governatore ordino’ che i cittadini fossero fatti imbarcare sulle navi attraccate al porto di Crisarnon per spingersi verso la costa di Landmar e chiese al generale di organizzare un diversivo per coprire le spalle ai cittadini che si sarebbero imbarcati. Non era una fuga, era la disperata ricerca di salvare il valoroso popolo elfico.

 


 

La retroguardia elfica copriva i cittadini che correvano verso il porto. Gli orchi, che dei cadaveri si cibavano e che distruggevano e incendiavano ogni cosa che incontrasse la loro avanzata, non risparmiarono nessuno dei soldati che perdettero la vita per coprire l’esiguo gruppo che oramai si stava allontanando aiutato dalle acque.
La furia cresceva, nessuna costruzione era rimasta in piedi e anche le ultime forze militari furono spazzate via insieme al loro coraggio. Rimaneva la torre alta, fortificata al centro del villaggio sul lucente sinorn, e con essa il generale e gli ultimi militari che lo avevano seguito, e che si erano barricati nella costruzione per far da esca e quindi distrarre il grosso dell’orda orchessa.



 

 

Ne aveva viste di battaglie lui, il generale che non nascondeva la sua stanchezza impressa sulla pelle segnata e sui lunghi capelli striati di bianco. I suoi occhi azzurri come il mare che lo aveva portato a Sinor non si spegnevano mai, anzi raccontavano: una vita lunga fatta di onore e servizio per il suo popolo, la sua gente, coloro che amava. Corse sulla torre alta, insieme agli ultimi, doveva vedere le sue navi partire per la terra di un tempo per l’ultima volta. Il sogno era finito.

 

Il generale, fiero sui bastioni, vide le navi sparire all’orizzonte. Fu l’ultima volta che i suoi occhi si posarono sulle acque del mare.
Accampati sotto la torretta della citta’ alta, l’orda si cibava dei corpi degli elfi abbattuti. Quello che sembrava aver guidato la spedizione, attendeva con inaudita pazienza che gli elfi barricatesi all’interno della torre decidessero come morire. La beffa supero’ la brutalita’ quando lo stesso capo, alzando gli occhi alla torre, busso’ alla porta con il femore del cadavere che stava oltraggiando, lanciando la sua ultima sfida.

 

 

 

Il generale si volto’ e guardo’ i suoi guerrieri negli occhi, non fu necessario parlare. Un silenzio solenne dominava l’interno della torre, spezzato dal riecheggiare dei passi cadenzati del piccolo manipolo. Quando il generale giunse davanti alla porta che lo separava dai suoi nemici, si fermo’. Il suo respiro fu lungo e mentre chinava lievemente il capo in avanti, chiudendo gli occhi, i suoi elfi capirono e rispettarono il silenzio. L’orgoglio ancora una volta rendeva valorosi quegli animi, e la fuga era l’alternativa che mai nessuno di loro avrebbe preso in considerazione. Apri’ quella porta, con lentezza, fece alcuni passi in avanti e guardo’ negli occhi la mostruosa creatura che del sangue elfico ancora si libava. Solo fredda determinazione brillava in quegli occhi cinerei che infinite morti avevano visto. La punta della sua lancia brillo’ alla luce di quel giorno finale, mentre le rune dell’asta si imprimevano sulla pelle delle mani segnate da infinite e bianche cicatrici. “Gweinian” fu la sua ultima parola. Schierati fianco a fianco, i guerrieri seguivano il loro comandante, con fierezza.
Un urlo di odiosa bestialita’, la morte, la fine della gloria di Sinor.

 

 

 

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