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Era il 134 e come ogni anno di quella stagione le famiglie contadine dell’Impero si organizzavano per la mietitura del grano, le fanciulle si adornavano i capelli di fiori profumati e i nobili davano ricevimenti nei parchi delle loro case sfarzose.
Il giovane che tutti conoscevano col nome di Antalian amava questo periodo dell’anno, poteva godersi il sole che tramontava sempre piu’ tardi e dormire sui covoni sotto le stelle.
Aral non era mai stata cosi’ serena e agiata. La capitale aveva gettato le basi per una fiorente economia ed ora ne coglieva i prosperosi frutti. Persino i poveri si sentivano ricchi mentre camminavano per quelle vie fatte di pietre e marmi lisci, di cancelli in ferro battuto e di taverne traboccanti di cortigiane sempre disponibili. I bambini giocavano per strada e nei prati vicino al porto. Rimanevano incantati ad ascoltare le vecchie storie narrate da bardi elfi di passaggio o a guardare i piccoli teatrini di marionette che viaggiatori allestivano in cambio di qualche spicciolo e una pagnotta di pane.
Vi era quella serenita’ impalpabile, quella rinascita che dava alla mente la tranquillità per fermarsi a riflettere sulla breve vita dei fiori, sul numero delle stelle o sulla grandezza del mare.
Antalian era una ragazzino come tanti altri, figlio di nessuno, con le fantasie tipiche di quell’età ed amico di tutti. Fantasticava di fate e castelli e badava ai cavalli e ai muli che cavalieri o viaggiatori lasciavano nella stalla del suo padrone. Lui parlava con gli animali mentre li strigliava, gli raccontava della sua seconda vita, quella della fantasia, in cui era barone, principe e re, buono e severo, abile spadaccino e impavido difensore di fanciulle dai capelli del colore del grano. I cavalli erano forse i suoi migliori amici, pronti sempre ad ascoltarlo senza mai prenderlo in giro.
Si sa che la leggenda a volte sostituisce la realtà o da essa attinge per rendere quelle storie, così straordinarie, più favole che cronaca fino a divenire poi voci, sussurri da taverna o fiaba per i bambini.
Antalian ebbe la sua leggenda proprio nel 134 quando stava per compiere il suo diciassettesimo anno di vita. Erano da poco passate le cinque del pomeriggio e lo stalliere aveva chiesto al giovane garzone di portare il cavallo ad un nobile che lo attendeva alle porte di Aral. Antalian non se lo fece ripetere due volte, si avviò di gran fretta per guadagnare quel tempo che poi avrebbe speso per una breve passeggiata sulla riva del mare, in cerca di conchiglie.
Il mare quel giorno era increspato da una lieve brezza e il giovane, che non amava il vento, decise di spingersi fino al bosco, nei pressi del fiume a sud di Aral.
 


Un fruscio ovattato colpì l’attenzione di Antalian. Cercò con lo sguardo, rimase in ascolto. Niente. Un tonfo irruppe nel lieve ronzio degli insetti che popolavano quel boschetto e il ragazzo decise di muoversi in direzione del suono.
‘Unisciti alla Madre Primordiale, questo luogo non è per te figlio dell’Essenza’.
Una voce così lieve tanto da farlo spaventare. Antalian non riuscì a capire da dove venisse e continuò a camminare finchè dovette fermarsi: una leggiadra fanciulla cercava di celarsi tra le foglie dei cespugli accanto al fiume. Un balzo veloce e la figura scomparve nell’acqua ma la voce tornò:
‘Attento poichè il tuo dono è ambito e prezioso’.
Antalian spinto dalla curiosità si tolse gli stivali ed entrè nel fiume, cercò ma della fanciulla nessun segno, l’acqua era immobile.
‘Ah devo smetterla di fantasticare, sto diventando sciocco’ si diceva e, uscito dall’acqua, si diresse verso la fine del bosco, stava facendo tardi e lo stalliere si sarebbe arrabbiato molto.
Di nuovo, il sordo rumore di prima. Vento, alberi spogli e secchi, gli insetti non si udivano più e anche il fiume si incresò. Il bosco era improvvisamente mutato, ogni cosa pareva morire. Antalian si stropicciò gli occhi e mentre osservava la corolla di un fiore divenire nera e poi seccarsi davanti ai suoi occhi, per la prima volta ebbe paura della sua fantasia. Ebbe paura di se stesso.
Una corsa veloce alla ricerca della fine del bosco, il vento sul volto bagnato dalle lacrime e gli tornarono in mente i suoi castelli, i suoi duelli e le fanciulle di cui aveva raccontato ai cavalli che strigliava.
Cadde e probabilmente si sbucciò un ginocchio, una grossa radice che fuoriusciva dal terreno era la causa della fine della sua corsa. Alzò gli occhi e il cielo era nero, buio, silenzio, allarmante calma nel bosco fatto di ombre e vita decaduta.
Un dolore profondo lo colpì al collo e si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Qualcosa lo stava sollevando da terra afferrandolo.
Quello che Antalian vide non riuscì mai a raccontarlo bene, parlava di grandi occhi gialli e di squame, poi si smentiva e descriveva un grande artiglio avvolto nella nebbia oppure una figura umana dai lunghi capelli bianchi e dall’incredibile altezza, come due giganti messi insieme.
Sentiva che la vita gli veniva meno eppure qualcosa di forte gli scorreva nelle vene scuotendolo, come una forza nuova, inaspettata, che lo faceva sentire il cavaliere abile e forte dei suoi sogni, dei suoi racconti.
‘Toccalo! Toccalo con entrambe le mani’.
La lieve voce era tornata e lo intimava a fare qualcosa che non comprendeva, era insistente.
‘Nelle tue mani c’è l’arma che può liberarti. Toccalo Antalian!’
E lui allungò le mani tremolanti, deboli, davanti a se con gli occhi chiusi. Toccò il freddo.
Il colpo che sentì alla schiena appena ritornò a terra gli tolse il respiro. Credeva di esser morto o di aver fatto un brutto sogno, ma al collo un profondo squarcio gli fece credere che questa volta forse non era la sua fantasia, o almeno non solo.
Si udì l’urlo di qualcuno che sfogava il suo ultimo dolore, il vento smise di soffiare e iniziò a piovere. Tra pioggia e sudore il suo volto pallido sembrava quello di uno spettro, un’anima in pena che corre veloce per rifugiarsi lontano dagli occhi di tutti. Raggiunse le porte di Aral, si guardò indietro e tutto gli apparve così calmo, persino il mare non respirava più. Il bosco in lontananza era sempre lo stesso e la pioggia faceva luccicare i piccoli cespugli che si libavano degli ultimi raggi del sole.
Il ragazzo non poteva sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto il mare.

Aveva fatto tardi, sarebbe stato sgridato e forse anche picchiato. Questa volta però la sua storia di eroismo, anche se misteriosa, era avvenuta davvero e lui doveva urlarla.
Arrivò alla stalla e il suo padrone aveva in mano uno dei nerbi usati per far correre i cavalli, se lo passava fra le mani come in attesa di sferrare un colpo secco chissà su chi. Non appena Antalian apparve sull’uscio il nerbo cadde a terra.
‘Cosa ti è accaduto figliolo? Sei ferito, pallido, ti hanno aggredito?’
‘No. Cioe’ sì!’
E scuoteva il capo farfugliando parole veloci e prive di nesso tra loro.

A sera la locanda del porto era gremita di uomini, ragazzi e qualche donna. Tutti ascoltavano l’avventura di Antalian. In molti lo deridevano.
‘A furia di parlare coi cavalli sei divenuto un mulo Antalian e ti impunti sperando che noi qui ti crediamo’
‘Ma è cosi’, dovete credermi. Quella cosa mi ha lasciato un segno guardate! E la fanciulla…le mie mani hanno un forte potere!’
Raccontava la sua grande avventura e nessuno lo credeva. Raccontava la sua avventura e mai nessuno aveva voluto raccontare a quel ragazzo la storia della sua nascita e come mai era cresciuto orfano e senza conoscere nulla sui suoi genitori.
Antalian non poteva sapere che la sera che venne al mondo, con l’aiuto di una levatrice e un paio di donne, accadde una cosa straordinaria Così narrarono le presenti. Sua madre sentì che stava per nascere mentre attraversava un campo di grano per tornare a casa, insieme a due sue amiche. Si accasciò a terra appena raggiunto un bosco e all’imbrunire Antalian venne al mondo. Mentre le urla della donna tagliavano l’aria, una forte luce si materializzò divenendo poi una nebbiolina rarefatta. La sensazione che le presenti avvertirono fu che qualcosa di potente ed antico si fosse lì materializzata. Antalian emise il primo respiro mentre la nebbiolina si spostava, avvolgendo la partoriente.
Molte altre volte nella mia vita udii parlare di questa strana ‘cosa’, questa presenza che molti chiamano l’Essenza Primordiale, che si aggira nei boschi e nelle foreste. Eppure io, che di inverni e boschi ne ho visti tanti, non ho mai potuto incontrare tale arcano mistero. In molti dicono che sia lo spirito delle anime che non trovano dimora presso il proprio dio, altri che si tratti del sorriso delle dee della luce o ancora il pianto degli dei quando le creature delle terre fanno cose a loro non gradite.
Antalian non seppe mai che sua madre morì dandolo alla luce e che suo padre nessuno seppe mai chi fosse. Egli crebbe con la convinzione di esser stato trovato in un campo di grano, su un covone, dove tanto amava dormire.

Sono passati molti anni da quando anche io quella sera udii l’avventura di Antalian nella taverna del porto. A me, che oramai mi avvicino al tramonto della vita, il piacere di scrivere la storia di Antalian, che possa essere ricordata e narrata.
Dicono che la tristezza di non esser stato creduto lo uccise. Dicono che forse quella ‘cosa’ era venuta a riprendersi la vita che gli aveva dato. Dicono che sia stato davvero un grande cavaliere ed abile spadaccino. Certo è che un paio di giorni dopo l’accaduto Antalian fu trovato di mattina presto da alcuni mietitori su un covone, una spiga di grano tra le labbra, un’espressione serena.

Antalian mori’ nel 134 quando stava per compiere il suo diciassettesimo anno di vita. Quando fu trovato sulle sue mani vi era una strana polverina verde e luminosa.

Le leggende si sa sono belle da narrare e da raccontare. Spesso vengono dimenticate o diventano più belle col passare degli anni.
Antalian ebbe la sua leggenda, ma si sa, le leggende restano pur sempre solo leggende.

 

 

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